APPELLO Rischio Idrogeologico: i governi non hanno fatto abbastanza 

APPELLO

Rischio Idrogeologico: i governi non hanno fatto abbastanza

Al termine del Convegno Internazionale MATER (organizzato con Parco dei Nebrodi ed Università degli studi di Palermo durato 2 giorni), in cui ricercatori e professionisti che si occupano di conservazione del territorio da discipline (geologia, pedologia, ingegneria, architettura del paesaggio, botanica, scienze agronomiche e forestali) e ruoli diversi, si sono confrontati sulle pesanti criticità che questo secolo deve affrontare, gli intervenuti hanno concordato sull’esigenza di comunicare al nuovo governo, l’urgenza irrimandabile di occuparsi del rischio idrogeologico, della salute degli ecosistemi e, dunque, del paesaggio italiano.

Sentiamo quindi il dovere, interpretando il pensiero dei tanti soci delle Associazioni Tecniche dell’Ambiente partecipanti (in particolare della Past President SIEP Iale Gioia Gibelli, della Presidente EFIB Paola Sangalli e dei tre vincitori del Premio Internazionale di Ingegneria Naturalistica “Giuliano Sauli”) di lanciare questo Appello, per il superamento di un approccio insufficiente e non più al passo con i tempi e i dettami normativi.

Il processo di degrado del territorio italiano è in atto da decenni e riguarda il dissesto idrogeologico, lo spreco di suolo, il degrado dei suoli e delle acque, la perdita di biodiversità e di paesaggi di qualità, la minaccia continua alla sicurezza delle persone e alla salute degli ecosistemi.

Nessun governo, finora, ha preso sul serio i temi della sicurezza ambientale e la situazione continua, infatti, a peggiorare. Alcuni esempi.

  • Il 93% dei comuni italiani presenta aree a rischio idrogeologico, aspetto che è destinato a peggiorare con i Cambiamenti Climatici (CC),
  • le spese per rimediare i danni prodotti da frane, alluvioni, dissesti, sono almeno 3 volte tanto le spese per realizzare interventi sapienti di adattamento ai CC, volti a ridurre le vulnerabilità in essere, di origine prevalentemente antropiche,
  • la perdita di sostanza organica dei suoli, sia per effetto dell’erosione che a causa dell’agricoltura intensiva, penalizza fortemente la capacità dei suoli stessi di catturare carbonio, infiltrare l’acqua, ecc.
  • L’impermeabilizzazione incontrollata di suolo, senza una adeguata gestione delle acque meteoriche e del reticolo idrografico, genera problemi ingenti sia per quanto riguarda le alluvioni urbane, sia per la qualità delle acque superficiali e sotterranee, e sottrae Servizi Ecosistemici fondamentali alla riduzione della vulnerabilità dei
  • Il “13° Global Risk Report” del World Economic Forum di Davos del 2018, riportava peraltro, nella lista delle maggiori minacce per gli investimenti, tra le prime 5: gli eventi meteorici estremi (la cui pericolosità cresce con la vulnerabilità dei territori), i disastri naturali, il fallimento delle politiche per la mitigazione e l’adattamento ai CC, la crisi dell’acqua. Subito dopo, la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi, i disastri ambientali prodotti dall’uomo stesso. Tutti aspetti di cui il territorio italiano è indubbiamente “ricco”.

E’ ormai innegabile lo stretto rapporto tra ambiente, società ed economia ed è altrettanto evidente che continuare a “dimenticare” le vulnerabilità territoriali, porterà sempre più frequentemente al collasso strutture naturali degradate e strutture artificiali inadeguate, incidendo in modo significativo sull’economia. Non solo per l’aumento esponenziale dei costi di “riparazione”, ma anche come deterrente per investimenti e come ostacolo per lo sviluppo di economie varie, tra cui quelle che possono essere sostenute da paesaggi sani.

Il territorio ci chiede di intervenire urgentemente e sapientemente, con azioni con e non contro la natura, incardinate in programmi di breve, medio e lungo periodo. Azioni non casuali, ma pensate e sviluppate per dare risposte efficaci alla grande varietà di situazioni che caratterizza il tutto territorio italiano.

Dunque ci sentiamo in dovere di chiedere ai governi nazionale e regionali, di prendere quella decisione che non è mai stata presa finora

salvare il territorio e con esso i paesaggi e le risorse che sono alla base di ogni economia e civiltà”.

Se la decisione, come auspicato, verrà presa, AIPIN che è parte del CATAP (una rete di associazioni tecnico scientifiche per l’ambiente e il paesaggio), è disposta a mettersi in gioco, con le competenze multidisciplinari, scientifiche, tecniche, le esperienze trentennali sulla riparazione adattativa e cura del territorio, e le idee maturate attraverso i numerosi confronti e la conoscenza profonda della molteplicità degli aspetti che caratterizzano le vulnerabilità dei sistemi territoriali.

La complessità richiede approcci multidisciplinari per capire e trovare soluzioni efficaci, durevoli nel tempo perché autorigeneranti. Dunque è necessario un cambio di passo, che veda gli specialismi come approfondimenti indispensabili all’interno di un pensiero complessivo. Diversamente, continueremo a vedere muri di difesa che crollano, paesi spazzati dal fango, raccolti inesistenti per la mancanza d’acqua, piante sbagliate che bloccano i ponti, spese folli per difendere edifici che non avrebbero mai dovuto essere costruiti.

E’ dunque urgente un percorso formativo che riporti i tecnici italiani ai vertici della qualità progettuale perché le risorse economiche disponibili vengano investite e non spese, nella piena consapevolezza dei rischi e delle possibili soluzioni e alternative. Ad esempio, un programma attento di manutenzione del territorio, basato sulla cura ordinaria, oltre a prevenire danni ingenti può ridurre fino all’80% i costi complessivi di gestione e riparazione.

Le risorse naturali sono un capitale su cui si sostiene tutta l’economia. Un esempio è il suolo che sostiene qualsiasi attività nonché una gran parte dei Servizi Ecosistemici indispensabili alla nostra vita, il cui processo inarrestabile di consumo è nato con una riforma fiscale (l’introduzione dell’ICI a compensazione della cessazione dei trasferimenti di fondi dallo Stato centrale per la gestione dei servizi comunali) che ha allargato al pubblico l’interesse privato di costruire: non può esistere il risparmio di risorse non rinnovabili, e dunque un percorso nazionale verso l’impoverimento, se la fiscalità continua a premiarne lo sfruttamento. È urgente un graduale passaggio ad una fiscalità che premi significativamente le attività volte alla conservazione delle risorse non rinnovabili, al riuso, alla rigenerazione di risorse, e che penalizzi significativamente il consumo di risorse non rinnovabili. Un primo passo, semplice, per esempio, l’introduzione dell’IVA agevolata sul materiale vegetale e la e la costruzione di spazi verdi (oggi è pari al 22%) e l’aumento significativo dell’IVA per le costruzioni che consumano risorse.

Il percorso più rapido ed efficace è quello di “formare facendo”, utile per tutti, attori pubblici e privati. Si evidenzia le necessità di introdurre come prassi per i progetti PNRR, un “accompagnamento esperto” multidisciplinare da parte di tecnici di accertate competenze, con il triplice obiettivo di migliorare la qualità dei progetti, formare facendo tecnici pubblici e privati, aprire il percorso che porterà a delineare una PA davvero innovativa e sburocratizzata, in quanto focalizzata a orientare e verificare le qualità e gli obiettivi raggiunti, perché ne ha le competenze, anziché controllare l’andamento di procedure tortuose, totalmente inefficaci nei confronti della risoluzione dei problemi e della necessità di sperimentare per innovare. La riduzione vera del rischio idrogeologico si può ottenere solo con azioni coraggiose che prevedono la delocalizzazione di edifici e infrastrutture che non avrebbero mai dovuto essere costruite.  Ciò permetterebbe, ad esempio, di “ridare spazio a fiumi” e quindi all’acqua, che tornerebbe amica anziché temibile minaccia, alla funzione fitodepurante della vegetazione ripariale e golenale e alla ricarica delle falde, unico grande magazzino d’acqua che può supplire allo scioglimento dei ghiacciai. Pertanto si propone di predisporre da subito un Piano Nazionale di demolizione, volto a definire le priorità rispetto al rischio, da attuare nel 2026 con i fondi che resteranno inutilizzati dal PNRR: se il piano sarà pronto, compresi gli accordi con chi vive quotidianamente la minaccia dell’alluvione e/o della frana, la realizzazione potrà essere rapidissima.

Questa misura avrà un ritorno economico indiretto in termini di risparmio sulle gestioni future, di sicurezza dei territori, delle persone e degli approvvigionamenti, della conservazione dell’acqua e dei suoli, nonché sull’adattamento ai CC.

Tutto ciò, se perseguito attraverso il modello dell’Accompagnamento esperto, potrà dare frutti importanti sia nella formazione che nell’occupazione giovanile, con la potenzialità di costruire una nuova generazione di “tecnici per il territorio”, indispensabile in un territorio così diverso e fragile come quello italiano. Territorio che deve smettere di disfacersi, al fine di tornare attrattore di investimenti sicuri.

AIPIN, pronta a rimboccarsi le maniche, attende una risposta.

Firenze, 6 ottobre ’22

Prof. Ing. Federico Preti, Arch. Gioia Gibelli, Biol. Paola Sangalli, Geol. Giuseppe Doronzo, Ing. Gianluigi Pirrera, Arch. Flora Vallone

 

Download per divulgazione:  Appello AIPIN AI GOVERNI Rischio Idrogeologico i governi non hanno fatto abbastanza Definitivo Ottobre 2022

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